Non esistono “vite inutili” di Antonio Di Matteo, Presidente Consiglio Generale MCL
Non esiste un “diritto alla morte” e non esistono “vite inutili”.
Il “no” ad ogni tentativo di introdurre nel nostro ordinamento e nella vita del nostro Paese l’eutanasia, il suicidio assistito o una qualche forma di “diritto a morire”, deve essere fermo. La deriva che sta coinvolgendo varie nazioni europee non può allargarsi all’Italia e replicare, anche da noi, quella “cultura dello scarto” che è il trionfo ultimo dell’utilitarismo.
Siamo nel paradosso nel quale le pretese diventano diritti e i veri diritti si trasformano in semplici rivendicazioni. Ed è doloroso constatare come vengano trattati temi delicati come il fine vita!
Senza stupirci dovremmo chiederci: se si tratta in questo modo la fine della vita, e in modo non dissimile il suo inizio, è ragionevole pensare che ciò che sta in mezzo tra la nascita e la morte possa essere trattato in modo differente?
L’utilitarismo con cui si guardano l’inizio e la fine della vita è lo stesso con cui si guarda tutta la vita: scartare i bambini se non sono desiderati o non perfetti; cercare di eliminare le cosiddette zavorre della società come i malati o gli anziani; ridurre il lavoro a sfruttamento; violare i diritti fondamentali degli esseri umani; l’accanirsi contro le famiglie; e così via.
Bisogna cominciare a liberarci dall’equivoco di credere che i valori sociali non abbiano nulla in comune, anzi, che siano in conflitto, con i valori etici. Dobbiamo, invece, renderci conto che non possono esistere se non insieme, che non possono essere divisi perché la persona non può essere divisa. La difesa e promozione di tutti i diritti riflette l’unitarietà della persona! Va ribadito, infatti, che il protagonista non è l’individuo, ma la persona, l’essere umano caratterizzato dalle sue relazioni.
La persona non è un ingranaggio, che può essere sostituito e gettato via quando non serve più, ma è qualcosa di irripetibile e di unico, che ha una dignità propria. Non si possono dare dei parametri di “qualità” per attribuire valore alla vita, per affermarne o meno la dignità, soprattutto nei momenti in cui la vita è più fragile e più indifesa. Proprio per questo vanno valorizzate in tutti i modi possibili le relazioni tra i pazienti, il personale sanitario, le famiglie, senza cedere alla tentazione di derubricare queste relazioni a delle mere procedure, altrimenti, la persona viene ridotta a individuo.
Il tema del fine vita fa emergere in modo chiaro la consistenza o l’inconsistenza della nostra vita comunitaria, costringendoci a guardare le vere fondamenta della nostra società.
Il livello della sfida, dunque, non è politico o sociale, ma antropologico.
E poiché la questione è antropologica è pure politica e sociale.
È necessario perciò ristabilire il giusto ordine delle cose e riconoscere il primato dell’umano.
Il confronto è tra chi crede che la legge possa esaurire tutta l’esperienza del vivere e chi ritiene che il protagonista, anche nella legge, sia la persona ed in gioco c’è anche la grande battaglia per la libertà che è l’obiezione di coscienza. Questa sfida non riguarda semplicemente l’ambito della cura e del mondo sociosanitario, ma coinvolge tutta la comunità, evidenziando il grado di libertà della società.
Allo stesso tempo, occorre rendersi conto che è sempre più necessario far sentire accolti coloro che vivono nel dolore, sia le persone che sono malate sia quanti stanno loro accanto e per questo occorre impegnarsi anche sul fronte delle cure palliative.
La nostra è una sfida di civiltà, perché la società si giudica da come tratta i soggetti più deboli. Questo è l’impegno di Mcl, luogo di presidio di valori, impegno che condividiamo con quanti non si arrendono.
Riteniamo che questo tema non possa essere taciuto o nascosto né tantomeno delegato alla Magistratura, ma la politica lo debba affrontare e per questo chiamiamo alla responsabilità tutti, in particolare coloro che condividono il nostro comune sentire.